La sentenza con la quale la Corte d’Assise di Busto Arsizio ha deciso di non condannare Davide Fontana all’ergastolo per aver ucciso a martellate la giovane Carol Maltesi è stata accompagnata da numerose critiche; si è parlato di “sentenza sessista” e di “processo alle vittime”.
Perché la Corte d’Assise ha condannato l’imputato “solo” a 30 anni di reclusione?
Ora che le motivazioni della sentenza sono state depositate possiamo fare chiarezza.
Il capo d’imputazione
Davide Fontana è imputato del reato di omicidio “perché cagionava la morte di Maltesi Carol colpendole la testa con un martello e tagliandole la gola con un coltello”.
Inoltre la Procura ha contestato alcune aggravanti che, se riconosciute, avrebbero elevato all’ergastolo la pena minima di 21 anni stabilita per l’omicidio volontario:
- la premeditazione “avendo posto la persona offesa in condizione di non potersi difendere avendola previamente legata e imbavagliata”;
- i motivi abbietti o futili che hanno mosso l’imputato “in quanto contrariato dall’imminente trasferimento della donna in Provincia di Verona per poter vivere vicina al figlio”.
- la crudeltà “continuando a colpirle il capo con il martello, nonostante la predetta [ndr. la vittima] cercasse di muovere la testa per evitare i colpi, non potendo urlare, atteso che, precedentemente, le veniva apposto un nastro telato nero sulla bocca”;
Inoltre l’imputato è accusato anche del reato di distruzione o soppressione di cadavere perché dopo aver ucciso la vittima “utilizzando un’ascia ed un seghetto per tagliare il ferro, la depezzava [ndr. la faceva a pezzi] e la eviscerava, dopodiché cercava di darle fuoco. Inoltre asportava delle porzioni di pelle in corrispondenza di alcuni tatuaggi nonché del viso al fine di impedirne il riconoscimento”.
La sentenza
Nessuno nel corso di questo primo grado del processo ha mai dubitato che Davide Fontana abbia volutamente ucciso la ragazza.
Lo stesso ha confessato l’omicidio e anche la sua difesa, per così dire, non ha opposto alcuna resistenza sul punto.
La sentenza ha liquidato in poche righe la questione: “… è del tutto palese la prova generica del delitto di omicidio volontario” ma al contempo non ha riconosciuto le aggravanti contestate.
Per quanto riguarda la premeditazione i giudici hanno affermato che non “risulta allegato alcun elemento concreto ed univoco che provi che Fontana abbia organizzato l’omicidio” e che anzi “il perito psichiatra ha spiegato bene che la condotta dell’imputato … sia stata il prodotto di una decisione lucida, ma improvvisa, sorretta da dolo d’impeto”.
Difatti il crimine sarebbe “stato frutto di una decisione maturata lentamente, a seguito della progressiva presa di coscienza da parte di Davide Fontana che i progetti personali e professionali di Carol Maltesi non contemplassero più la prosecuzione della loro relazione, anche solo professionale, non implica che il delitto sia stato premeditato”.
La Corte d’Assise ha ritenuto di non poter applicare nemmeno l’aggravante dei futili motivi perché “Dal punto di vista del Fontana l’omicidio era un modo – certo non condivisibile e sproporzionato secondo il comune modo di sentire – per venire fuori da quella condizione di incertezza e sofferenza non più sopportabile, innescata dalla decisione della stimolante donna amata di allontanarsi da lui”.
Pertanto “valutando “soggettivamente” la condotta del Fontana, essa, dal suo punto di vista e tenuto conto del particolare momento in cui venne posta in essere, non può essere considerata futile”.
I giudici hanno escluso anche l’aggravante della crudeltà poiché “non può pertanto ritenersi provato in modo convincente che Davide Fontana abbia continuato a colpire Carol nonostante la reazione della donna, a testimonianza di malvagità, di insensibilità morale e di particolare ferocia”.
Nulla in concreto “ha dimostrato che i colpi di martello siano stati inferti in più fasi e che il movimento della testa della vittima fosse stato un movimento reattivo, drammaticamente consapevole; è invece ragionevole ritenere che quel movimento altro non sia stato che la reazione “meccanica” provocata dalla stessa violenza dei colpi”.
Spieghiamoci meglio
Nel delitto di omicidio volontario la circostanza aggravante della premeditazione richiede che trascorra un apprezzabile intervallo di tempo tra l’insorgenza e l’attuazione del proposito di uccidere e che tale desiderio perduri fermamente nella testa dell’omicida durante detto lasso di tempo.
Nel caso concreto sulla base degli elementi raccolti la Corte ha ritenuto che la volontà omicida fosse il frutto di un senso di frustrazione covata per mesi dall’imputato, poi improvvisamente “esplosa” e che pertanto, per essere più chiari, Davide Fontana non abbia organizzato l’omicidio.
Si può invece parlare di motivi abbietti o futili quando l’omicidio non è altro se non un mero pretesto per sfogare i propri impulsi criminali del tutto slegati da qualsiasi scopo diverso dalla commissione in sé del crimine. In altri termini vi deve essere una evidente sproporzione tra il movente e il delitto.
Dovendo analizzare il “moto interiore” che ha spinto l’imputato a fare quello che ha fatto, la Corte ha quindi tentato di calarsi nei panni dell’omicida ed ha ritenuto che dal suo punto di vista la condotta fosse il frutto di una “condizione di incertezza e sofferenza non più sopportabile” e pertanto giuridicamente non futile.
Infine perché possa riconoscersi l’aggravante della crudeltà è necessario che la condotta sia studiata e specificatamente finalizzata a cagionare sofferenze ulteriori e gratuite rispetto a quella “normale” o “necessaria” per commettere il delitto e, ovviamente, insista almeno per una certa quota in qualunque delitto.
Per essere cinici: ci si deve comportare “come fa il gatto con il topo”.
La Corte si è quindi chiesta se i tredici colpi di martello alla testa con i quali sono state cagionate le gravissime lesioni craniche ed il successivo taglio della gola dimostrino quella spietatezza della quale è stato accusato l’imputato.
“La Corte d’Assise ritiene di no” – si legge a pagina 27 della sentenza – perché le lesioni al cranio sono state inferte con una serie di colpi portati senza soluzione di continuità e che il successivo taglio della gola “sarebbe stato un modo per alleviare le sofferenze della Maltesi”.
Diversamente l’imputato “avrebbe potuto “semplicemente” continuare ad infierire con il martello sul capo o sul corpo della donna”.
Tuttavia la Corte d’Assise ha riconosciuto altre circostanze aggravanti “minori”, ovvero il fatto che l’imputato abbia intrattenuto una relazione affettiva con la vittima ed aver impedito alla stessa di potersi difendere ma anche le circostanze attenuanti generiche per aver subito confessato l’omicidio e collaborato fornendo informazioni utili per ricostruire la vicenda.
Inoltre non è stata rilevata la continuazione tra i reati di omicidio e quello della distruzione di cadavere, poiché si tratterebbe di due condotte tra loro “slegate”.
Perché non è stato applicato l’ergastolo?
Come detto la Corte non ha riconosciuto quelle circostanze aggravanti necessarie per applicare l’ergastolo.
Pertanto nel quantificare la pena i giudici sono partiti dal minimo di 21 anni di reclusione stabilito dall’art. 575 del Codice Penale, hanno dovuto inoltre “bilanciare” tra loro solo le rimanenti circostanze aggravanti e attenuanti ed infine condannato Davide Fontana “soltanto” a 24 anni di reclusione per l’omicidio, cui poi sono stati aggiunti altri 10 anni per quanto fatto al cadavere.
Inoltre la pena finale di 34 anni per il concorso tra l’omicidio e la distruzione di cadavere è stata ridotta a 30 anni perché l’articolo 78 del Codice Penale stabilisce che nel caso di concorso di reati la pena della reclusione non può mai essere superiore al limite di 30 anni.
E ora, che succederà?
È possibile che la Procura impugni la sentenza per chiedere il riconoscimento delle circostanze aggravanti contestate così come potranno formulare appello i difensori dell’imputato per chiedere la (difficile) assoluzione o comunque una più favorevole quantificazione della pena, ad esempio attraverso il riconoscimento del vincolo della continuazione tra i reati di omicidio volontario e la soppressione di cadavere.
Potrà infine presentare appello anche la difesa della parte civile (i parenti della vittima) che tuttavia, in mancanza dell’impugnazione della Procura potrà solo chiedere una maggior risarcimento del danno.
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